La nostalgia per le manette di Goffredo Saint-Just Buccini
Nostalgia, per forza. Ma mica per i giovani cronisti che fummo”. Diamogliela buona, al vecchio Goffredo Buccini. Ma solo questa. Il resto, se non è colpa, è vizio. Sdilinquendo di ricordi di fronte alla serie tv “1992”, lui che per il Corriere fu tra “i giovani cronisti” che facevano il cattivo e il cattivissimo tempo dalla stanza 254, la stanza di Tonino, nemmeno immalinconisce per “l’immacolata immagine di Di Pietro che veleni, errori e orrori hanno sfigurato assieme alle nostre speranze”. (Veleni. Forse intendeva vestiti?). No, Buccini ha “nostalgia per le mazzette, ancora ingenuo corpo del reato”, ché oggi è peggio, “si incassa un tesoretto a propria insaputa, o la tangente umana”. Del reato narrativo, di solito, non si trova che la vuota pantomima: ma lui, giovane testardo, questo non lo sa.
Non trova posto per un ricordo sbagliato nemmeno per “l’infame nomignolo di noi giovani cronisti” affibbiato a Craxi. Solo “nostalgia piena di rabbia”. Il vizio non è essere stati giovani cronisti, che neppure davanti ai suicidi si fermarono “troppo a pensarci su. E la gente continuò ad applaudire di riflesso”. (Questa sì era vita, eh?). Il vizio è non rendersi conto, venti e passa anni dopo, della truffa mediatica che fu, del linciaggio infame che fu e che persino il suo direttore di allora, Paolo Mieli, anni dopo ammise. Le rivoluzioni le fanno i giovani, perché sono più stronzi. Saint-Just aveva 25 anni nel (Settecento)92. Ma non trovare un pertugio che porti fuori dalla stanza 254, dai suoi miasmi di forca e contadino, nel (duemila)15?
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