Fare gli anti-choosy con il culo degli altri
Fidarsi dei numeri ufficiali sul lavoro, è più un atto di fede che non una scelta razionale. Ma diciamo che i 92 mila nuovi contratti a marzo, primo mese del Jobs Act, annunciati dal ministero del Lavoro sono una bella cosa. Anche se l’ultima volta che Giuliano Poletti aveva annunciato un più 79 mila contratti a tempo indeterminato era stato poi costretto a perdere una settimana di lavoro (tempo pieno e straordinari) per precisare. Tutta questa premessa non certo per criticare il Jobs Act e la sua filosofia datevi-una-mossa, non sia mai. Ma solo per notare che la polemica sui bamboccioni (migliaia di bamboccioni) che dopo essersi fatti avanti se la sono data a gambe di fronte alla prospettiva di lavorare 6 mesi 6 all’Expo, inquadrati in regola e a milletrè-millecinque al mese, dunque confermando di essere una generazione di bamboccioni “choosy”, è un po’ gonfiata. Un pochino. Basta leggere, se ne trovano, anche le testimonianze di chi ci ha provato e ha rinunciato: perché non erano milletrè ma novecento, perché non era fulltime ma partime (meno paga), perché c’era un corso non retribuito obbligatorio da frequentare, perché le agenzie interinali non si sono più fatte vive, o dicevano una cosa per l’altra. Nel percorso a ostacoli dei lavori interinali, a chiamata, provvisori o come volete definirli ci sono pure trappoline di cui non è corretto dare tutta la colpa ai bamboccioni. Può darsi che ciò significhi che il Jobs Act serve davvero. Di certo significa che non è bello fare gli anti-choosy col culo degli altri.
Il Foglio sportivo - in corpore sano