Encomio di Filippo Facci che combatte contro i sordi alla Travaglio
Combattere battaglie sacrosante a mani nude, meglio se perse in partenza e a rischio di farsi male, col gusto di tenere il punto oltre il punto di rottura, come se ogni articolo fosse un duello alla sciabola: è Filippo Facci, detto in sintesi. Che non è don Chisciotte: non è matto e soprattutto ha ragione da vendere. Conduce da giorni (ma sono anni) una lotta garantista dalle colonne di Libero (così va la vita) contro quelli del Fatto, che si son fatti un punto d’onore di pubblicare “le intercettazioni che il governo vuole vietare”, intese quelle penalmente irrilevanti, prima che la legge “bavaglio” le vieti (forse stavolta ci siamo, ma anche no: vedrete).
Lo fanno perché, scrive Facci, le considerano “socialmente rilevanti”: il gusto di sputtanare la gente tanto per sputtanarla. Una battaglia persa in partenza, Filippo lo sa e credo ne goda, spiegare a uno come Marco Travaglio – solo un distratto potrebbe scambiarlo per un suo uguale ribaltato: non paragoni di scrittura, puro amore per il gran gesto contro picciolo amor proprio – che un conto è pubblicare “stralci di un atto o di un’intercettazione (se è rilevante)”, un altro è mettere merda nel ventilatore. Battaglia persa, non lo possono capire. Sono sordi. Travaglio, che proprio non riesce a superare la fase dei nomignoli, lo chiama “Chatouche”, perché Filippo ama strabiliare se stesso coi suoi multiformi look. Combattere contro chi intende il giornalismo come impunito sputtanamento, sapendo di non averla vinta, ecco, fa onore. A Filippo Facci.
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