Note di stile sull'autocritica della compagna Guidi
"I bolscevichi non possono ignorare che la parola d’ordine dell’autocritica è la base dell’attività del nostro partito, è un mezzo per rafforzare la dittatura proletaria”. Così scriveva Stalin sulla Prava del 3 luglio 1928, per spiegare al popolo “l’abisso che c’è tra l’autocritica dell’opposizione, che ha per scopo demolire lo spirito del partito, e l’autocritica bolscevica”. Le migliaia lettere di “sincera e libera” autocritica dei compagni che avevano sbagliato fanno parte della storia della letteratura infame del Novecento. Si dirà che qui non c’è nessuno Stalin, anzi non c’è più manco il comunismo. E si dirà pure che Federica Guidi, ex ministro per lo Sviluppo economico, anche al colpo d’occhio tutto sembra meno che una compagna che ha sbagliato, è un’industriale prestata alla politica cooptata da un governo che è tutto meno che un Politburo. Però c’è qualcosa nella sua vicenda, e nel tono della repentina lettera scritta al “Caro Matteo” (“credo tuttavia, per una questione di opportunità politica… il nostro meraviglioso paese”) che suona stilisticamente forzato. Così come c’è un tono minaccioso, da Piccolo Padre, nell’accettazione fulminea e fredda della testa auto-offerta: “Ho molto apprezzato il tuo lavoro”. Berlusconi sul caso ha commentato: “Le intercettazioni sono un vulnus grave della nostra democrazia”. Forse è davvero l’unico ad aver capito che in Italia il comunismo c’è ancora.
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