Per ricordarsi di Pietro Pinna, il primo obiettore italiano
Il nome di Pietro Pinna non dirà molto alla maggior parte dei lettori e degli attuali cronisti in servizio attivo. Al massimo, come per il sottoscritto, è una nota incontrata in pagina, qualche volta e molto tempo fa. Pietro Pinna è morto il 13 aprile a Firenze, aveva 89 anni ed è stato il primo obiettore di coscienza al servizio militare per motivi politici in Italia. Doveva partire per la naja nel 1948, ma si rifiutò. Finì sotto processo nel 1949 e il Tribunale militare di Torino lo condannò per il reato di disobbedienza: “Volontà cosciente del fatto negativo, in contrasto con l’ordine ricevuto e nella conoscenza del contenuto dell’ordine stesso”.
Nel frattempo, in Parlamento comparivano le prime proposte affinché per gli obiettori fosse riconosciuta la possibilità di essere destinati a “servizi dove non si uccide, ma si può essere uccisi”. Più tardi, con Aldo Capitini, fu tra i fondatori del Movimento Nonviolento e organizzò la prima Marcia per la pace Perugia-Assisi, 1961. E’ una storia antica, anzi preistorica, per l’Italia in cui il servizio militare obbligatorio non esiste più, esiste un servizio civile nazionale volontario che a Matteo Renzi piace molto – fa bene alla formazione dei giovani – ma funziona poco. E soprattutto per un’Italia, e un mondo, sull’orlo della Terza guerra mondiale a pezzi e in cui il no a imbracciare un fucile resta una domanda importante, ma pare posta al vuoto. Però così, per ricordarselo.
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