Meglio “Secondo Matteo” che gli stracciatori di libri
Ci risiamo. La biografia di Matteo Salvini, fin dai tempi in cui cantava felice e in braghe corte a Pontida, o in cui faceva l’agit-prop metropolitan-bossiano in Consiglio comunale di Milano, non è esattamente quella di Erasmo da Rotterdam. E, a occhio e croce, deve nascondere meno curiosità di quelle di Roger Federer, Antonello Venditti o Francesco De Gregori che ci sollazzeranno nei mesi sotto l’ombrellone. Ma che il libro che racconta la sua vita, e che ha un titolo facilone ma tutto sommato ironico, “Secondo Matteo”, debba essere stracciato e calpestato come nella più truce e becera delle parodie hitleriane, in una libreria di Bologna la Dotta, è cosa che fa incazzare e getta anche un po’ nello sconforto.
E anche, diciamolo, guadagna qualche simpatia allo schietto cazzaro neo-lepenista, che non sarà il nuovo Putin, ma non ha mai nemmeno torto un capello neppure a un rom di Quarto Oggiaro. Eppure ieri Salvini era a Bologna, come non gli vieta la Costituzione più bella del mondo, e come ogni volta i polverosi fuoricorso dei centri sociali dai nomi orridamente novecenteschi – Cua, Hobo, Làbas – gli hanno gridato “vattene” e “fuori i razzisti dalla zona universitaria” (nemmeno dall’università: dalla zona) e provato a impedirgli di parlare. Poi qualcuno s’è introdotto in una libreria (saranno sembrati elefanti in cristalleria) per mettere al rogo in effigie cartacea Salvini e il suo diritto a esistere. E qualcuno, scommetto, avrà tuittato gli hashtag #cultura e #democrazia.
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