La scossa teologica di mons. Pompili contro il Progresso
Chi sono io per giudicare di qua, chi sono io per giudicare di là… In tempi incerti per la dottrina e pure per la teodicea, era nell’aria che questa faccenda del terremoto avrebbe generato uno sciame teologico, pronto a ribaltare le poche certezze di diritto naturale rimaste a Santa Romana Chiesa. E va bene che avevano già iniziato Voltaire e Rousseau a bisticciarsi sul senso ultramondano dei terremoti, con Rousseau a far la parte di un Salvatore Settis d’antan e a dar la colpa al progresso. Ma quelli erano illuministi e mangiapreti, avevano una chiesa da far crollare, e non nel senso dei mattoni e dei campanili. Ma se ci si mettono i vescovi, questa sì che è magnitudo. Ci si era già provato quello di Ascoli, mons. Giovanni D’Ercole, a seminare cupezza in “questa nostra gente tradita dal ballo distruttore della terra”. Aveva detto, a messa: “‘E adesso che si fa?’ mi sono rivolto a Dio Padre”.
Ma mercoledì, ad Amatrice, al cospetto di Mattarella e Renzi, dioscuri della speranza, il vescovo di Rieti mons. Domenico Pompili ha traballato peggio di un container. E dire che aveva ben comiunciato: “I terremoti esistono da quando esiste la terra. I paesaggi, le montagne, l'acqua dolce, tutto è dovuto ai terremoti. Neanche l’uomo esisterebbe senza i terremoti… Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio”. Ma poi, se n’è uscito così: “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo”. Perbacco. Se non è Dio, se non è nemmeno la natura, vuoi vedere che è davvero colpa del Progresso?
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