Marieke Vervoort, a sinistra (foto LaPresse)

Il non addio alla vita di Marieke e l'eutanasia paralimpica

Maurizio Crippa
Sul momento la prima cosa che mi è venuta in mente è Cesare Pavese dopo avere vinto lo Strega: “Tornato da Roma, da un pezzo. A Roma, apoteosi. E con questo?”

Sul momento la prima cosa che mi è venuta in mente è Cesare Pavese dopo avere vinto lo Strega: “Tornato da Roma, da un pezzo. A Roma, apoteosi. E con questo?”. Ma io sono un vecchio umanista, e subito dopo ho invece pensato che questa notizia che tutti i giornali davano, di questa atleta belga di 37 anni che si chiama Marieke Vervoort, che sabato ha vinto la medaglia d’argento nei 400 metri T52 ai Giochi Paralimpici di Rio e aveva già vinto due medaglie a Londra, e che aveva detto “vinco l’oro e poi mi uccido”, avesse invece a che fare con un mondo nuovo e per niente letterario. Un mondo transumano, dove il dolore e il vivere non hanno più il senso, o il muso, lungo della Langa. E che, oggi che le Olimpiadi sono diventate il mito eugenetico del corpo perfetto, forse anche le Paralimpiadi, che pure piacciono tanto anche a Papa Francesco, rischiano di diventare un mito eutanasico. Poiché nel mondo nuovo l’eutanasia non è che lo stadio perfetto e finale dell’eugenetica: la selezione del corpo con cui valga la pena continuare a vivere.

 

Poi però Marieke Vervoort ha fatto una conferenza stampa all’Aquatic Center e ha spiegato che s’è trattato di “un errore della stampa belga” (ha solo firmato le carte per quando la sua malattia degenerativa diverrà insopportabile), e che al momento il suo addio alla vita “è totalmente fuori questione”. Che “quel momento non è ancora arrivato, sono più impegnata con il buddismo e lo zen, mi sto ancora godendo ogni piccolo momento della mia vita”. Così alla fine ho pensato che la realtà delle cose, a volte, riesce a smentire le cattive interpretazioni dei giornali. E che deve essere un bel tipo, Marieke, a conoscerla.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"