“Follow the money” è una categoria di critica letteraria?
Siccome ho ancora indietro L’inverno del nostro scontento di Steinbeck e Come fu temprato l’acciaio di Nikolaj Ostrovskij, ed è arrivato pure Special Deluxe, il nuovo libro di vita e automobili di Neil Young, ammetto impunemente che Elena Ferrante non l’ho mai letta, e al momento non ce l’ho neppure in programma. Probabilmente faccio male, e del resto se persino Elizabeth Strout, che stava in ospedale per appendicite a Napoli, richiesta di scrittori italiani da leggere citava solo lei, la Ferrante, qualcosa deve pur significare. Detto questo, credo che anche per i suoi lettori più affezionati, se non sono vittime di guardonismo autoriale, sapere chi sia davvero, quale identità reale si celi dietro al nome, sia superfluo, inutile, decisamente stupido.
Ma sono anni che l’Italia dei libri non discute d’altro, e bisogna farsene una ragione. Però che, adesso, il transfert psichico dei lettori della Ferrante debba passare dalla curiosità per la persona in quanto tale alla curiosità per l’entità del suo conto corrente, suo e del di lei marito, altrettanto scrittore. E che per arrivare allo scoop culturale del disvelamento (o sarà un’agnizione?) si debba passare per i rivoli del giornalismo d’inchiesta consacrato al mantra “follow the money”, cioè sbirciare nei conti in banca, dà un po’ da pensare. Come ha detto Sandro Ferri, l’editore (e/o) della Divina: “Basta assediarla. Adesso si finisce per guardale i conti. La trattano come se fosse una camorrista”.
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