Tobia che c'è, l'utero in affitto che non c'è e l'Europa
Facevamo gli auguri di battesimo a Tobia. Perché c’è. E se c’è un’anima e un destino, neppure il Papa lo negherebbe. Anche se non tutti i genitori di tutti i Tobia la pensano così. Il primo Rapporto dell’assemblea del Consiglio d’Europa sulla maternità surrogata, sostenuto dalla senatrice e ginecolaga verde e transgender Petra De Sutter, è stato bocciato con 83 no, 77 sì e 7 astenuti. Cantano vittoria coloro che vedevano nelle “linee guida” proposte un grimaldello per autorizzare la pratica dell’utero in affitto, bocciata da Strasburgo nel 2015. Sarebbe forse il caso, per il fronte del No, di riflettere con prudenza che la maggioranza raggiunta è risicata. E la storia insegna che certi trend di voto sono reversibili. Ma si vedrà.
La cosa culturalmente notevole è un’altra. Tra gli oppositori della maternità surrogata non ci sono soltanto fieri bigotti, ma anche associazioni laiche come il movimento Stop Surrogacy Now e molte femministe, come le francesi di Corps, con in prima fila la filosofa Silvyane Agacinski e Laurence Dumont, vicepresidente socialista del Parlamento francese. O come Francesca Izzo di Se non ora quando-Libere e Ana-Luana Stoicea-Deram del Collectif pour le respect de la personne. Le quali hanno detto che la maternità surrogata, anche quando la si fa passare come un “dono”, è un fatto commerciale. La differenza tra Tobia, che c’è, e il diritto all’utero in affitto, che per ora non c’è, è la differenza tra ciò che esiste e la legge del desiderio. Non una questione da poco.
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