E il Vesuvio? Pannella
Mille anni ai tuoi occhi sono come un giorno, dice il salmo, e nella Città eterna, pur con Francesco traslocato da Lutero a Malmoe, pensare all’eternità è buona protezione civile. Ma la bufala dei vulcani sotto Roma che hanno ricominciato a mettere lava incandescente negli scantinati di Roma, strisciando maledetti e subdoli fin dentro il Raccordo, peggio dei frigoriferi complottardi, è una estremizzazione bella e buona. Ci vorranno mille anni, appunto, prima che in via Del Tritone esploda un Eyjafjallajökull de noantri, e prima che il lago di Castel Gandolfo inizi a ribollire come una teiera, saranno tornati in vacanza i Papi. E infatti i vulcanologi, intervistati ma debitamente tenuti a distanza dai titoli, dicono: “In situazioni come quella del Vesuvio, dove le eruzioni sono molto più frequenti, l’ultima durante la Seconda guerra mondiale, ha senso un piano di intervento”. Il Vesuvio, già. Quella è una polveriera dormiente, ma non proprio silente. Lì, sotto il pennacchio, succedesse qualcosa ci sarebbero da evacuare 700 mila persone dalla cosiddetta “zona rossa”, un’area che comprende venticinque comuni. Ma del Vesuvio, di sapere a che punto è la caffettiera, nessuno si cura o quasi. Almeno da quando non c’è più Marco Pannella, vulcano di idee.
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