Ahi, Melania
E alla fine è arrivata. Persino vergognosamente candida. Declinata secondo la strabiliante scala di rilevanza attribuitale dai giornali e dai siti, non soltanto quelli italiani: la prima ad aver posato nuda; la prima ad aver fatto l’indossatrice di intimo; la prima ad arrivare da un paese dell’èra comunista; la prima straniera; la prima non madrelingua. Si potrebbe aggiungere: la prima ad avere un marito sessuomane conclamato prima ancora di essere entrato nello Studio Ovale; la prima ad aver fatto copia-incolla del discorso di un’altra moglie. La prima di cui, con ogni evidenza, non si può dire altro, e niente di bene. Perché, con ogni evidenza, non ha sotto due palle così in studi legali come la mancata vincitrice, o la ex First.
Contro Melania Trump si è dispiegato nei mesi scorsi un odio sociale, e largamente donnesco (femminile o femminista sono parole inadatte), di cui fa fede per tutte un’articolessa spocchiosa, razzista e insultante di Maria Laura Rodotà (tà-tà) durante l’estate. Bene, adesso la First Lady è arrivata, la signora Melania Trump. Bellissima. E’ la miglior nemesi, al femminile, di una campagna elettorale apporcinata sul sesso altrui. E non farà biscottini né discorsi, e se la terranno, odiatori e odiatrici. Gli sta bene. E poi, non fate finta, rodotarie varie, avrete da divertirvi. Ma quattro anni a strillare “vergogna”, vi si seccherà la lingua.
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