Se Sanremo è gentiloniano, a che serve più la Consulta?
Osservandolo con spirito diciamo previsionale, il Grande Show della Nazione spiega più cose di un editoriale di Stefano Folli
Spiace soltanto che il Sanremo delle meraviglie andrà in onda a febbraio, quando la Consulta avrà già detto la sua sulla durata del governo Gentiloni (di questo si tratta, vero?). Perché, osservandolo con spirito diciamo previsionale, il Grande Show della Nazione spiega più cose di un editoriale di Stefano Folli. Gli scambi e prestiti (“contaminazioni”, si diceva ai bei tempi che Freccero si occupava di televisione) tra conduttori e ospiti non sono novità: per un ventennio hanno fatto da termometro vuoi dello strapotere di “Rainvest”, vuoi degli inciuci, vuoi, da ultimo, dei Nazareni. Ma nell’anno di grazia 2017 il salto di qualità è, come piace dire ai giornalisti, “esponenziale”. E non è più solo Rai-Medieset, canone incestuoso di tutti gli inciuci. Già la grama (televisivamente parlando) notte di San Silvestro aveva visto l’inedito: il brindisi a reti unificate tra Gigi D’Alessio-Mediaset e Amadeus-Rai. Poi c’è stato l’annuncio di Bloody Mary De Filippi sul palco con Carlo “Pippo” Conti, a sancire che esiste ormai un solo canale-arco costituzionale. Infine l’annuncio, probabile ma soprattutto plausibile, del passaggio in Riviera di Maurizio Crozza, l’uomo che fu Cairo Communication e sarà Discovery: il terzopolismo tv di ogni futuro. Manca (per ora) solo Sky. E dite voi se non è il più gentiloniano dei Sanremo possibili, per la Rai più gentiloniana che c’è. E’ il tutti dentro, è la responsabilità nazionale, è il proporzionale puro. L’unico che manca è Renzi, e la Consulta dica quel che vuole.