Una domanda al prof. Cassese sulla “buona scuola”
C’è un aspetto che non mette in luce, e sarebbe utile che, con la sua competenza, volesse tornare ad occuparsene
Sul Foglio di ieri il professor Sabino Cassese, eccellente conoscitore della macchina amministrativa dello stato, ha espresso opinioni notevoli sul marasma nel quale sembra sul punto di ri-precipitare la scuola italiana, segnatamente per quel che riguarda la funzione docente. Ha detto cose ineccepibili: “Assisto con stupore alla formazione di un nuovo diritto, quello di lavorare sotto casa”. Esiste uno “squilibrio insegnanti-studenti: i primi provengono per quasi l’80 per cento dal sud, i secondi sono solo per quasi il 40 per cento al sud. Di qui nascerebbe l’esigenza di trasferirsi al nord per molti insegnanti. I quali, in molti, invece, trovano ogni scusa, buona o cattiva, per non prendere servizio”. La scuola, ha detto, esiste per insegnare, non per assegnare posti di lavoro. Inoltre: “Mi stupisce anche la velocità con la quale si sono voltate le spalle ai programmi e alle leggi del governo Renzi… La ‘Buona scuola’ prevedeva altri metodi”. C’è però un aspetto che Cassese non mette in luce, e sarebbe utile che, con la sua competenza, volesse tornare ad occuparsene. Lo scandaloso valzer dei ricorsi, eccetera, non è stato scardinato dalla riforma. Quegli abusi reali, al momento, fanno ancora parte della pletora di nicchie legali che regolano il pubblico impiego. Per riformare la scuola si sarebbe dovuti partire dalla funzione pubblica, dai concorsi. Aver detto che i presidi sono diventati “manager”, e invece sono ancora e soltanto funzionari, era una fake news. Che ne dice, professore?