Giulio Regeni, Mattarella e un paese decente
Ricordarsi che un anno è passato è un modo per ricordare allo stato italiano – questo sì – che stiamo ancora aspettando, tutti, la verità. O qualcosa che assomigli alla verità, o almeno alla decenza
Il giorno anniversario di Giulio Regeni, stabilito in coincidenza di quello della sua sparizione al Cairo, un anno fa, era ieri, 25 gennaio. Parlarne con un giorno di ritardo non è una snobberia, anche se da queste parti, per tradizione editoriale, non ci teniamo agli anniversari: finiscono spesso con un sovrappiù di enfasi, di polemicuzza. Ma soprattutto, dovrebbe essere chiaro che la morte di un giovane ricercatore accusato di essere stato una spia (come fosse un insulto nuovo di zecca, o semplicemente un insulto, nell’èra della post verità e di Assange che chiede e ottiene perdoni presidenziali) non dovrebbe avere bisogno di anniversari per essere ricordata. Ma ricordarsi che un anno è passato è un modo per ricordare allo stato italiano – questo sì – che stiamo ancora aspettando, tutti, la verità. O qualcosa che assomigli alla verità, o almeno alla decenza. Però ieri ha parlato Sergio Mattarella, il presidente che aveva iniziato il suo mandato firmando la grazia per due ex agenti Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar: non è una sprovveduta anima bella. Ha detto: “Da un anno l’Italia piange l’uccisione di un suo giovane studioso senza che si sia potuto far piena luce sulla tragica vicenda, malgrado gli sforzi intensi della nostra magistratura e della nostra diplomazia”. “Il dolore della nostra comunità nazionale è immutato così come immutata rimane la ferma volontà di chiedere giustizia per il crimine efferato che si è accanito contro il giovane”. Ecco, un paese decente.