Più Cairo che Crozza
Da Floris, il satirista unico delle coscienze era uno spasso. Ma ogni volta che va nell’aziendona mainstream perde i suoi punti cardinali
Che Salvini abbia tuittato “non so a voi ma a me #Crozza non fa più ridere”, si può anche capire. Il gran Todorov la catalogherebbe come la versione sovranista dell’infantile “non mi hai fatto male, faccia di maiale”. Il problema di Crozza a Sanremo, che non ha fatto ridere manco Bloody Mary (fa fede il tuìt istantaneo di Massimo Scaglioni, @MaScaglioni, numerologo televisivo domenicale del Corriere: “4 canzoni orrende e 1 Crozza spento: non propriamente un grande inizio”) è più serio. Ce la ricordiamo, l’altra volta all’Ariston del principe dei comici: s’impappinò, lo sfancularono, fece ridere meno di Padoan sulla manovra. Ipotizziamo una chiave ermeneutica, probabilmente giusta: e se Crozza facesse ridere soltanto quando lavora per Urbano Cairo? Da Floris, il satirista unico delle coscienze era uno spasso trionfale. Ma ogni volta che va nell’aziendona mainstream perde i suoi punti cardinali, e la satira è tutta una questione di contesto. Qui il contesto è il Festival del Nazareno. Chi poteva perculare? Salvini?
Batticuore per Diletta Leotta, l’allitterazione-apparizione delle meraviglie. Ha fatto benissimo a non parlare dello sciopero di Sky: è Sanremo, mica il concertone del Primo Maggio. Sì, sembrava vestita per il Moulin Rouge, ma che importa? Siamo al Festival per innamorarci.