Malinconia per Borghezio, sovranista a sua insaputa
Altro che Kyenge, è il tempo passato dal leghista in politica che genera più stupore
Nel giorno in cui sembra di capire che Robertone Calderoli potrebbe tornare a essere il pivot bergamasco delle leggi elettorali, del porcellum non si butta mai niente, suscita uno stupore immalinconito potersi occupare ancora di Borghezio, Mario Borgezio. I giudici della Quarta sezione penale di Milano lo hanno condannato per diffamazione aggravata dalla finalità di odio razziale contro l’ex ministro all’Integrazione, Cecile Kyenge. E lo hanno pure condannato a risarcirla con 50 mila euri. Lui, poveretto, ha commentato: “Mi costringerebbe a vender casa”. Del resto aveva detto: “Gli africani sono africani appartengono a un etnia molto diversa dalla nostra”. Era il 2013 ma sembra passata un’infinità di tempo.
Per la dottoressa Kyenge, che è pure simpatica, oltre la magnifica concittadina che tutti sappiamo. In quel tempo lontano ci chiedevamo soltanto come mai, in forza di che, avesse potuto diventare ministro. Poi è arrivata Virginia Raggi al Campidoglio, e s’è capito che anche in Italia, come nel New Jersey di Woody Allen, può succedere di tutto. Ma è il tempo passato da Borghezio che genera più stupore. Per questo frequentatore di bouquiniste sulla Senna, di studioso di radici europee farlocche come le serie tv fantasy. Borghezio non era un mostro, era un sovranista ante litteram, a sua insaputa. Poi è venuto Salvini, e vabbè.