Quel pomeriggio in un mondo di cani. A Torino
Ventidue ore a lanciare roba giù dal balcone al quinto piano di un palazzo del capoluogo piemontese
Si è arreso dopo 22 ore. Non era in banca come Al Pacino in Quel pomeriggio di un giorno da cani ma al quinto piano di un palazzo di Torino. Però lo spettacolo forse è stato anche meglio, a giudicare dal pubblico. Lui documentava se stesso in diretta su Facebook, e per tutta la notte ha continuato a lanciare roba giù dal balcone. L’acquario con dentro i pesci, il forno, i piatti, il condizionatore. Aveva una pistola e minaccia “vi sparo”. Paura? Macché. Una gioia per gli occhi, un passatempo. Centinaia di spettatori. Il bar della strada “ha esaurito patatine e bottigliette d’acqua”. Una donna con un bimbo nel passeggino che sembra al lunapark: “Ho ordinato la pizza e ora vado a vedere”, racconta una mirabolante, per nulla enfatizzata, cronaca di Repubblica. C’è chi fa la ola ad ogni oggetto che si schianta giù sull’asfalto. Una bambina di otto anni fa i capricci: “Ti prego mamma ancora cinque minuti poi possiamo andare, magari lancia il frigo”. Rispetto a quarant’anni fa e all’orgia mediatica raccontata da Sidney Lumet è cambiato qualcosa, in peggio. Ma non è Facebook. E’ un surplus di cinismo, di assuefazione post-sartriana all’evidenza che “l’inferno sono cazzi degli altri”. Forse il clima da linciaggio sociale reso effervescente dai media e dai populisti pop incide la sua parte. Forse siamo diventati un po’ più cani. Di notte la scena è illuminata non dalle fotoelettriche, ma dai flash degli smartphone.
Ps. L’uomo sembra sia affetto da bipolarismo, ma non ditelo a Renzi e Calderoli.