
Diego Rivera, dettaglio di un murale nella Galleria nazionale di Città del Messico
Cinquant'anni di solitudine sono passati. Avanti gli altri
Dal Venezuela al Brasile alla stessa Colombia, quel mito latinoamericano, nonostante il Papa argentino, lascia un sapore amaro e strano
"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio". Siccome non sono un connoisseur ma un dilettante delle lettere come Snoopy col suo “Era una notte buia e tempestosa”, l’incipit di Cent’anni di solitudine continua a essere quello cui sono più affezionato, assieme a “Chiamatemi Ismaele”. Di recente ho messo in playlist anche “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Ma quello non è un romanzo. Il romanzo di Gabriel Garcia Màrquez uscì il 30 maggio 1967, lo lessi qualche anno dopo, al liceo. Più o meno negli anni in cui Macondo era diventato, a Milano e per breve tempo, anche un luogo fisico e strano, un luogo che non c’era prima e mai mi azzarderei a chiamare centro sociale. Non ci andai mai. Lo aveva fondato Mauro Rostagno, che non conobbi mai ma che, molti anni dopo, Adriano Sofri mi avrebbe condotto a conoscere, come un perduto fratello maggiore. Estraneo a quel mondo, estraneo a quel libro, di entrambi, come tanti della mia età, sentii ugualmente il fascino. Era il mood dell’epoca, si sarebbe detto molti anni dopo. E cinquant’anni dopo la visione di come sia precipitando in un gorgo, dal Venezuela al Brasile alla stessa Colombia, quel mito latinoamericano, nonostante il Papa argentino, lascia un sapore amaro e strano. Di irrealismo magico. (Scritto così, come memoria di buona lettura. Cinquant’anni di solitudine sono passati. Avanti con gli altri).

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