Chi l'ha visto? e “chi è andato a trovarlo”. Analogie
Che cos’è, un regolamento, quando somiglia a un accanimento?
Non vorremmo proprio noi stare a sottilizzare – nel day after della signora Chi l’ha visto? e della pochade giornalistico-giudiziaria (non troviamo altra definizione) che l’ha travolta come un giro di mazurka – sul fatto che bisogna essere garantisti con tutti, e chi s’è visto s’è visto. Però ci sono dei fatti, che sempre pertengono alla danza folle dei regolamenti e dei codici, e della loro ferrea applicazione. Che sia assurdo indagare Federica Sciarelli per interposto telefono, pochi dubbi. Sul fatto che la colpa di certe derive demenziali dei metodi d’inchiesta dovrebbe sapere bene a chi darla, nemmeno. Ma siccome siamo assolutamente garantisti con la signora Chi l’ha visto?, vogliamo altrettanto esserlo con i protagonisti di “Chi è andato a trovarlo?”. Che sarebbe il titolo perfetto per questa storia, purtroppo una replica. Il Gup di Roma ieri ha rinviato a giudizio ventotto (28) persone, tra i quali molti politici, siciliani e non, giornalisti e altro. Perché? Per essere andati a trovare in carcere a Rebibbia Totò Cuffaro. O meglio, per l’accusa di “falso per le visite”, cioè di aver fatto entrare (di solito la scusa è che un tizio che accompagna il politico o l’autorizzato è un “collaboratore”), persone che non ne avevano titolo a norma di legge. E il regolamento, va dà sé, è il regolamento. Ma che cos’è, un regolamento, quando somiglia a un accanimento? Non per il detenuto, stavolta, ma per i protagonisti di una innocua docu-fiction.