Come (non) fare le liste. Lezioni argentine
I messaggi che il calcio può inviare alla politica sono molti, espliciti e bipartisan, e spesso colpiscono il bersaglio. Prendete Jorge Sampaoli
Si capisce, senza bisogno di essere psicologi, che Silvio Berlusconi preferisca parlare del Milan, che non è più suo ma non si capisce bene di chi è, un po’ come il centrodestra, piuttosto che di Matteo Salvini e di come mettere a posto il cubo di Rubik delle prossime candidature. Per cui via col Milan, “bisogna prendere un top player”, e fin lì ci arriva anche la Meloni. Che di Montella si fidi anche meno del Matteo della Lega, non c’è bisogno di strologare: “Volevo che sulla panchina restasse Brocchi. Ma ero in un letto d’ospedale, tra la vita e la morte. E mi dissero Montella”. Se li volete chiamare messaggi trasversali, fate voi. Del resto i messaggi che il football può inviare alla politica sono molti, espliciti e bipartisan, e spesso colpiscono il bersaglio. Prendete Jorge Sampaoli, il ct dell’Argentina che l’altra notte alla Bombonera ha rimediato uno zero a zero col Perù che sembra un sondaggio di Alfano, e che rischia di lasciarlo fuori dai Mondiali. Be’ lui è uno che fa le liste, pardon la formazione, in base ai criteri nemico-amico, compatibile-incompatibile, come manco Matteo Renzi quando lancia ultimatum in direzione del Pd. Così ha preso Higuain, Icardi e Dybala e li ha messi in panca per far posto a tal Benedetto, la punta del Boca Juniors. A un certo punto ha messo il Papu Gomez, che da noi fa il consigliere regionale. E insomma, se volete salvarvi dal populismo sudamericano, prendete nota su come fare le convocazioni.
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