La giustizia del generale croato e quella di Maria Grazia Cutuli
La giornalista del Corriere della Sera è morta della stessa violenza che Slobodan Praljak, come molti altri pazzi oppure lucidi, seminava a grappoli. Hanno avuto la giustizia che ognuno meritava, lo stesso giorno
La notizia, e le immagini, della morte del generale croato Slobodan Praljak – che si è suicidato all’Aja bevendo del veleno mentre il giudice del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia leggeva la conferma della sentenza di colpevolezza per crimini di guerra e la relativa condanna a vent’anni di carcere – ha fatto il giro del mondo e dominava ieri su tutti i siti informativi. E’ una curiosa coincidenza, o forse è una bizzarra carezza del destino, che il suicidio di Praljak, del quale quantomeno possiamo dire che non era una bella persona, sia avvenuto nello stesso giorno in cui in un altro tribunale, a Roma, questa volta una Corte d’Assise, ha emesso un’altra condanna, meno definitiva e barbarica, e ha restituito a Maria Grazia Cutuli una giustizia che non le serve più. O forse le serve eccome. Due afghani, Mamur e Zar Jan, che ora sono in carcere a Kabul, sono stati condannati a 24 anni per l’omicidio della giornalista del Corriere della Sera, uccisa il 19 novembre del 2001 in Afghanistan. Maria Grazia, diversamente da Praljak, era una bella persona. Può testimoniarlo chi l’ha conosciuta anche solo per poco, anche qui al Foglio. E’ morta della stessa violenza che il generale croato, come molti altri pazzi oppure lucidi, seminava a grappoli. Hanno avuto la giustizia che ognuno meritava, lo stesso giorno. Il che non autorizza però a pensare che la Storia sia puntuale.