Viva lo Yeti del grande Messner, antifascista delle nevi
Mentre siamo qua a spaventarci di quanto siano abominevoli gli skinhead nazistoidi, giunge dal lontano Himalaya una notizia che ci piace
Mentre in Italia si sta qui, tremebondi come un Maurizio Martina, o con il sopracciò dell’eleganza sciupata di un Tommaso Cerno, a spaventarci di quanto siano abominevoli gli skinhead nazistoidi che vagano per la pianura, giunge dal lontano Himalaya una notizia che ci piace: perché siamo montanari veri, e perché rende giustizia al grande Reinhold Messner, che è uno dei nostri pochi intellettuali di riferimento, e non scherziamo. Al quale in troppi hanno sempre dato del matto, o perlomeno del visionario d’alta quota, perché ha sempre sostenuto che lo Yeti esiste davvero (e l’aveva pure avvistato, lui). E che esisteva, però, non in quanto incubo delle cime, ma perché si tratta di un animale vero. Un orso, per la precisione. C’era chi rideva, dell’avvistamento dell’Abominevole uomo delle nevi e delle sue teorie. Invece ora un gruppo di ricerca dell’università di Buffalo comunica di aver esaminato, tra il Nepal e il Tibet, il dna di resti di alcuni animali, tradizionalmente attribuiti dagli abitanti del luogo allo Yeti. Bene, hanno verificato che erano orsi. E forse è niente di che, la notizia. Ma Messner ha sempre spiegato che la vera particolarità dello Yety (mai si permetterebbe di apostrofarlo “abominevole”) sta nel fatto di essere anche una leggenda, o un mito, che incarna una paura e un arcano, e che attraversa misteriosamente tutte le montagne del mondo. Sulle montagne sopra a Como ad esempio, l’Uomo Selvatico, il nostro Yeti, lo chiamano il Gigiatt. Ma se lo incontra Martina, lo scambia per uno skinhead.