Se i lettori-elettori credono a noi, la colpa è loro
L’idea dell’Agcom di obbligare i giornalisti a dichiarare l’appartenenza politica per poter adire ai confronti in tv è insulsa
Al Foglio facciamo sempre un gioco, prima delle elezioni: pubblichiamo le dichiarazioni di voto dei foglianti. Non è obbligatorio, ed è ovviamente garantita la deliziosa facoltà di mentire. Ma è un’iniziativa istruttiva, e divertente, per due motivi. Uno, è un modo per certificare, contro certi babbei, che si può essere bravi giornalisti anche essendo politicamente di parte. Due, ai tempi in cui eravamo berlusconiani risultava poi che la maggioranza della redazione non lo era. Ai tempi che eravamo antiabortisti non mi ricordo, ma suppongo andasse allo stesso modo. Altra dimostrazione che l’unica cosa che conta è quel che si scrive, sui giornali. L’ideona dell’Agcom, ente più inutile e dannoso del Cnel, di obbligare i giornalisti a dichiarare l’appartenenza politica per poter adire ai confronti in tv è insulsa per due motivi. Uno, non si può obbligare nessuno a dire per chi vota. Due, se l’intendimento è rendere esplicito il fatto che non esistono giornalisti neutrali, beh, noi della premiata gang lo abbiamo sempre saputo e detto. A parte forse qualche immancabile pirla che si atteggia all’inglese: ce n’è in ogni redazione, spesso ai piani alti. Il problema, se all’Agcom ragionassero, è un altro: sono i lettori-telespettatori-elettori che forse non lo sanno, e continuano a bersi di tutto pensando di assorbire Imparziali Verità. Che cittadini così inadeguati esistano davvero, e siano maggioranza, lo si evince empiricamente dal modo in cui poi votano a cazzo. Ma che vogliono da noi, la nostra tessera di partito? Si informassero.