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Gianfranco Vissani. Foto LaPresse
Vissani, dal grande chef al grande vaffa
Passi la metafora su Renzi, passi il suo voto alla Lega. Ma quando dice che Salvini e Di Maio “sono due Che Guevara” non lo perdoni proprio più
Ora a me, quello che mi mettono nel piatto, sono il tipo che sia annoia anche solo a leggerli, i menù al ristorante. Però tutti dicono, e lo so persino io, che Gianfranco Vissani è un grande chef, nel senso di uno di quelli che non fanno finta. Bravo davvero. E per questo lo si può anche perdonare. E anche per aver detto che “Renzi è un lampredotto, la fine della trippa, il panino che si mangia nei vicoli di Firenze”. Perché la metafora, per così dire, è calzante. Però, se di Carlo Cracco, che si fa pagare più di una escort di Trump per tenere la bocca chiusa (l’8 marzo era ieri, lasciate stare) abbiamo detto bravo, è così che si fa, Gianfranco Vissani è esattamente Cracco, ma gli hanno svuotato la zucca, come fanno le nonne in cucina.
Ha detto che ha votato Salvini, e fin qui passi. “E ha detto che l’Italia è stanca, non c’è più lavoro, la gente che vive per strada è triplicata”, e qui passi un po’ meno, aprisse una mensa per i poveri. Quando dice che Salvini e Di Maio “sono due Che Guevara” non lo perdoni proprio più, come se ti avesse sgonfiato un soufflé in faccia, roba da licenziarlo. Ma quando poi ti torna in mente, e lo avevi rimosso, che è stato lo chef preferito di Massimo D’Alema, ti viene da dire: oste della malora, ma vaffa!
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