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Grazie Don Andrés, il migliore col pallone e senza

Maurizio Crippa

Iniesta ha affrontato il suo “giorno più difficile” e ha detto addio al calcio e al Barcellona

Con i pochi capelli brizzolati, la fonte dello spettacolo non è lì, e le lacrime lasciate andare con parsimonia, il tempo necessario, la sincerità è un dettaglio, Andrés Iniesta ha affrontato il suo “giorno più difficile” e ha detto addio al calcio e al Barcellona – sinonimi per lui con ogni evidenza. La semplicità fatta di pochi bagagli di ogni uomo prudente, che ha preparato l’ora, ci ha pensato bene. “Devo essere onesto con me stesso, e mi rendo conto che nel futuro a breve termine non potrò dare il meglio di me né a livello fisico, né mentale”.

  

Dopo 22 anni, 16 in prima squadra. Dopo aver vinto 31 trofei, tra cui 4 Champions, un Mondiale e due Europei guidando la Spagna, lui che ha scelto la Catalogna come sua famiglia adottiva. Con la semplicità dei grandi a cui tutto sembra venire facile, ma mai per caso. Lui che del gol che decise il Mondiale ha detto: “Prima di colpire il pallone ho dovuto attendere che scendesse un po’. Se non avessi aspettato non avrei segnato. In quella frazione di secondo, la gravità ha fatto il suo dovere, e io il mio. Grazie Newton”. Perché così è stato il calcio di questo artista-scienziato, come ha scritto Sandro Modeo. Di lui incantavano la padronanza assoluta dello spazio e del tempo, pensare un secondo prima degli altri. E vedere tutto dove gli altri vedevano solo la rissa. Lo chiamavano anche l’Illusionista, ma era la bellezza di aver domato con la ragione e la grazia il più irrazionale dei giochi. Ha giocato, vissuto, ed è uscito di scena così. Il migliore. Lo stupido Pallone d’oro non gliel’hanno mai dato, e questo è il suo trentaduesimo trofeo. La perfezione.