“Un idiota che cammina fa più strada di dieci intellettuali seduti”. Appunti da una resa
L’intellettuale prima ha iniziato a sentirsi escluso, poi dalla parte del torto, ora a dirsi che forse hanno ragione “loro”
Non fosse morto venticinque anni fa, Allan Bloom potrebbe forse aggiornare il suo La chiusura della mente americana, saggio definitivo – o che è stato definitivo per trent’anni, niente è definitivo nelle fluttuazioni tra intellettuali e masse – nel quale spiegava con una certa preveggenza che le democrazie dominate dall’opinione pubblica avevano prodotto il pernicioso risultato di un relativismo fatto di rifiuto del sapere, della distinzione dei concetti e dei fatti, di cui il multiculturalismo era una perfetta sintesi. Aggiornarlo in quale direzione, non sapremmo dire. Potrebbe festeggiare la compiuta nemesi, ora che tutta la cultura d’impronta liberal è stata finalmente sfanculata con i suoi pregiudizi. Oggi anche solo dire “cultura” guadagna all’incauto l’accusa di “radical chic”, di borghese da centro storico, che investe indifferentemente chiunque abbia letto un libro, abbia una laurea, abbia fatto una gita a Chiasso. Basta una maglietta rossa, e arriva una cretina che censura il “radical chic con il Rolex e l’attico a New York”. Dove si condensa l’equazione impossibile e irrazionale tra Rolex (che poi è sempre stato simbolo della ricchezza burina di destra, ma amen), ricchezza e cultura. Il punto non sono le magliette rosse, hanno già annoiato. Ma pure questa idea di offrire i propri corpi come sacrificio vivente sulle navi che altro è se non, al fondo, la rinuncia alla facoltà di parola, pensiero?
E’ lo spaesamento dell’intellettuale che ormai si sente braccato, sia ceto professionale o ceto medio riflessivo. Un pacato intellettuale, per professione, come Pigi Battista ha scritto su Facebook: “Sento come sconvolgente il fatto che viviamo una lotta di classe al rovescio, e che le cose che credo di pensare, ragionevoli, giuste, accoglienti, non isteriche, non hanno il benché minimo ascolto nelle zone della città e della società lontane”. Quasi la confessione di un senso di colpa: “Siamo stati espulsi da un mondo in cui noi (in senso lato) non abbiamo più neanche un minimo di credibilità. Vorrei che ci interrogassimo su questa espulsione epocale da un mondo che non ci ascolta più, e anzi ci disprezza”. Uno scrittore molto per bene come Mauro Covacich ha scritto sul Corriere di sentirsi disperso: credevo che “gli altri” (il popolo) fossero “come” me, dice, invece odiano quello che amo, insomma odiano me. L’intellettuale prima ha iniziato a sentirsi escluso, poi dalla parte del torto, ora a dirsi che forse hanno ragione “loro”. Un altro saggio preveggente, il grande Jacques Seguela, inventore della comunicazione politica in epoca mitterrandiana, disse: “Un idiota che cammina va più lontano di dieci intellettuali seduti”. Ora lo zio di Pamela scrive su Fb: “Dove eravate voi benpensanti intellettualoidi, chiusi nei vostri mondi dorati, quando hanno massacrato Pamela?” e ci sono giornali lo ospitano, convinti, pare, che quella frase sconnessa sia invece pertinente. Se siete intellettuali, siete anche stupratori.
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