Calenda, sapere quando andare al Lido e quando tacere
Un consiglio non richiesto all’esuberante ex ministro. Meglio non avventurarsi nella giungla dello sputazzo
E’ probabile che da queste colonne lo si sia già elargito, in passato, un consiglio non richiesto all’esuberante Carlo Calenda sull’uso che fa dei social media, Twitter in primis. Uso per l’appunto esuberante. Ma chapeau alla sua resistenza fisica, una potenza da ginnasta, nel replicare a tutti, spiegarsi con tutti, litigare con tutti, fare il simpatico con tutti, persino con quelli che gli dicono che è un pariolino col Rolex. Non sono uno dei suoi follower più fedeli, ma ieri mattina sono incespicato in uno dei suoi mille tuìt. E diceva così: “Ecco magari dopo un mese di aperitivi in spiaggia e pesca alle trote, invece di andare a Venezia andare a lavorare al Viminale”.
Ecco magari dopo un mese di aperitivi in spiaggia e pesca alle trote, invece di andare a Venezia andare a lavorare al Viminale. https://t.co/XVbpRTHZjr
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 30 agosto 2018
L’oggetto era ovviamente la presenza al Lido con cena di Matteo Salvini e gentile compagna. Siamo tutti umani, dunque un po’ stronzi, per cui è uno di quei tuìt che alla mattina ti fanno pensare, per un nanosecondo: bravo, bisogna dirgliele a muso duro, andasse a lavorare. Ma un nanosecondo. Il secondo dopo, e non perché si sia migliori, diventa evidente che invece no. E’ evidente che la lotta nel fango per riconquistare consenso passi anche dalle tonnare via social, e che Salvini e tutti gli altri l’opinione pubblica (scusate la parola) se la sono presa così. Però, così, ci si prende solo e soltanto quella, di opinione pubblica.
Lui ha fatto il ministro, è entrato nel Pd ed è uscito dal Pd, vuole fondare un partito o anche no, chissà, e sa anche, è di famiglia, quando sia commendevole presentarsi al Lido e quando no. Ma è il suo territorio, si fermi lì. Appena esci nella giungla dello sputazzo, lì è pieno di barbari, e menano di più.