Podere al popolo
Dal reddito di cittadinanza alla rendita catastalesi. Il governo vuole tornare alla servitù della gleba e ai vantaggi del proletariato
Il cambiamento che avanza. Una zappata sugli zebedei dopo l’altra. Oltreoceano c’è il sòla in chief che abolisce lo ius soli. Nella terra dei migranti, in cui si facevano le corse con i conestoga per accaparrarsi gli appezzamenti di frontiera, come racconta quel noiosissimo film, ma istruttivo, Cuori ribelli. Ma da noi va anche peggio, si vuole proprio tornare alla servitù della gleba e ai vantaggi del proletariato – la prole era una ricchezza soltanto nella civiltà contadina, tutti al lavoro nei campi (da cui “braccia rubate all’agricoltura”, detto dei figli che pretendono di studiare o, peggio mi sento, di costruirsi una carriera da bibitari allo stadio con vista sulla politica).
Così, dal reddito di cittadinanza alla rendita catastale, il governo ne sta pensando un’altra, tanto per avvicinare di qualche altra pertica la Grande Proletaria al rango dei sin tierra: assegnare terreni incolti alle famiglie che accettino di fare il terzo figlio. I più lesti hanno tuittato: podere al popolo. A noi di meno fantasia è tornato in mente la Battaglia del grano (ma Paolo Mieli ci cazzierà). Ma soprattutto, come ai contadini che assaggiavano la terra sulla lingua per capire se era buona terra, ci è rimasto in bocca il sapore da pellagra di un ritorno al passato. Eravamo un popolo di navigatori, ora siamo tornati alla zolla di partenza. Poi non ci resterà di partire a piedi per attraversare il continente in cerca di pane. Sperando di non incontrare Trump.