Il premettista Stella
Non ci sono solo le premesse pigliatutto di Gramellini. L'autore della Casta fa addirittura doppietta: quando ti aspetti una critica, ché ci vorrebbe, per lui è una benedizione
Ci sono ottimi motivi per leggere ogni mattina il Corriere della Sera, e per incazzarsi un po’, anche senza che l’occhio cada immediatamente sul Caffè. Ma poiché sul “premettismo” (copyright di Luca Sofri) di Gramellini a riguardo dei politicastri e dei leoni da tastiera che stanno sbranando la simpatica Silvia rapita s’è già detto troppo, l’occhio può cadere impavido su Gian Antonio Stella. Che da par suo ieri ha imbracciato la doppietta, sul quotidiano e sul magazine 7, del premettismo: il tic mellifluo di chi non vuol dare l’impressione di accondiscendere, ma lo fa. Parte che sembra indignato (è uno dei suoi travestimenti preferiti) contro la maggioranza che “domina in televisione”, Salvini che ha sette volte più spazio di Martina e Mr Ping più di Berlusconi. Ma poi, armando la trappola della memoria lunga, spiega: eh, che volete, facevano così anche ai tempi di Renzi e Berlusconi. Riesce a riesumare pure le colpe di Roberto Zaccaria, di cui c’eravamo allegramente dimenticati l’esistenza. Sul magazine, invece, mette nel mirino (mamma mia) le intemerate sui giornalisti di Di Maio e Dibba, però per dire: eh, che volete, lo facevano già Craxi, D’Alema e pure Fini (vedi alla voce Zaccaria). Insomma, al suo solito modo, quel che vi aspettavate essere una critica, ché ci vorrebbe, è invece una benedizione. Dall’uomo della Casta che si inventò, dieci anni fa, gran parte di tutta questa melma. E allora, detto con premettismo: ma vaffa.