Mourinho, un amore
Dire no alla seconda chance dello Special One è come il tradimento di Lia Quartapelle con Renzi
"E ti scrivi sullo specchio: se non sei un deficiente, piuttosto tagliatelo". E’ bellissimo avere inguaribili amici che tifano la tua stessa famosa squadra, quella del Triplete, e ti svegli la mattina (un po’ tardi, martedì era giorno di ferie) e tutti ti stanno dicendo già da ore la loro: sul come decidersi circa una storia d’amore che potrebbe d’un tratto avere un secondo tempo insperato, ma sono quel tipo di rischi che forse è meglio di no. Perché è ovvio che la cacciata (comunque sia andata, non servono i dettagli, nei grandi romanzi) di José Mourinho dallo United non è cosa che riguardi gli abitanti di Albione, i tifosi Red Devils e nemmeno il football in quanto tale. Riguarda l’instabile stabilità affettiva di una certa tifoseria milanese. L’amore: perché è “amore ritorna”, oppure è “piuttosto tagliatelo”. E riguarda, anche un po’, la politica. Perché stare, a questo punto, contro il ritorno di Mou è una lacerazione dei cuori come solo accade nei grandi tradimenti del Pd. Dire no alla seconda chance di Mou, è come dire no alla voglia di rivincita di Renzi, insomma ti sembra di essere come Lia Quartapelle, che è passata armi e bagagli a Zingaretti, una specie di Gattuso della politica. Se invece dici sì, ti senti nella schiena quel malessere, quel reumatismo menagramo, ti sembra insomma di essere Maurizio Martina: ma chi me lo ha fatto fare, i cavalli di ritorno non funzionano mai.
Perché la verità è questa: con José Mourinho non è mai soltanto calcio, è sempre qualcosa di più. E’ la caduta dell’uomo che ha dominato la politica, cioè la comunicazione, del football degli ultimi anni, qualunque cosa dicesse, vincesse o perdesse. E’ stato l’interprete dell’élite europea in un mondo di populisti da curva o tribuna vip. Ha pagato, vi spiegheranno i tecnici, il peggior inizio di stagione dello United da molti anni a questa parte. Ha pagato un amore mai nato o nato con un contratto di divorzio prematrimoniale. Ma paga anche la sua leggendaria lingua che non conosce menzogna: “Possiamo al massimo arrivare al quarto posto, ma non sarà per niente facile”, aveva detto a inizio stagione. Aveva chiesto dei giocatori diversi, gli hanno lasciato Pogba, uno che palleggia bene quando ha voglia, ma ha il doppio di neuroni di Balotelli (totale: due) e Mou con quelli con pochi neuroni ha sempre avuto difficoltà ad andare d’accordo. Mandarlo via, allo United, comunque gli costa come un reddito di cittadinanza. E ben gli sta, se non l’hanno saputo tenere.
Nessuno può dire – nemmeno io, nemmeno noi eterni innamorati lasciati dopo una notte d’amore in un parcheggio di Madrid – se lo Special One abbia ancora il magic touch del Triplete, o se la polverina che fa volare è scivolata dalle sue ali, come a un Peter Pan incanutito. O se nel frattempo sia cambiato anche il calcio, assieme al mondo. Perché capita anche quello, certo che sì. Però un piano B potrebbe essere questo, intanto che decide la sua prossima squadra del futuro: candidatelo alla segreteria del Pd, che da quelle parti un disperato bisogno di un leader, e di un leader di statura europea, ce l’hanno davvero. Noi, al massimo, si scrive una frase sullo specchio, si piange ancora un po’. Ma Mou lo ameremo per sempre.