L'aeroporto di Gatwick è stato chiuso

I droni sopra il cielo di Gatwick e i falchi di Wellington

Maurizio Crippa

La minaccia delle piccole cose e il nostro problemino con le tecnologie

Il cielo sopra Gatwick è molto più vasto e meno controllabile di quello racchiuso sotto le volte del Crystal Palace. Però quando nel 1851 chiusero le vetrate del padiglione di Hyde Park, costruito per l’Esposizione universale, ed era così bello e avveniristico che dentro ci avevano lasciato senza togliere una foglia alcuni olmi molto alti – il problema dell’incontrollabilità dello spazio di volo, e della minaccia che tutto ciò vola libero può causare – si pose persino alla regina Vittoria. Nel padiglione, tra i rami degli olmi, erano rimasti intrappolati centinaia di passeri, che strillavano e sbattevano sui vetri (soprattutto, va da sé, minacciavano di scagazzare sulle tube dei gentlemen e sui cappellini delle ladies che sarebbero giunti in visita). Disse la regina: “Andate a chiamare Wellington”, ché per difendere i simboli dell’Impero si fidava solo del suo vecchio commander in chief. Il duca arrivò, vide, sentenziò: “Falchi, maestà”. Furono liberati i rapaci da caccia, e in pochi giorni dei fastidiosi passeri, neppure il ricordo.

  

Nel cielo sopra Gatwick, mercoledì sera, una mano fuori controllo (un “lone-wolf”, per la stampa britannica) per burla o atto dimostrativo (ancora non lo hanno individuato, la pista più calda porta ad attivisti ambientalisti) ha fatto volare dei droni. Non identificati, una possibile minaccia per gli aerei. Il secondo aeroporto di Londra è stato bloccato per 36 ore, cancellati più di cento di voli, altrettanti dirottati fino a Parigi e Amsterdam, centomila passeggeri pronti a volare incontro al Natale bloccati. Come profughi della Modernità. Il duca di Wellington non c’entrerebbe nulla, ovvio, non fosse che la polizia olandese ha sperimentato, contro i droni, il suo rimedio: hanno addestrato dei falchi per catturare in volo i droni indesiderati. Infallibili forse no, ma potrebbero funzionare, sennonché l’esperimento pare sia troppo costoso: è stato sospeso. E per quanto un’azienda sempre olandese – l’Olanda è un faro europeo, quando c’è da tutelare i diritti di tutti – abbia perfezionato un drone con le sembianze di un falco da utilizzare, viceversa, contro gli uccelli che sbattono sugli aerei, ancora il problema della sicurezza dei voli non è risolta. I droni, questi piccoli oggetti su cui non ha autorità nessuna torre di controllo – il faro della nostra razionalità, persino per quelli che soffrono di fear of flying – stanno diventando un casino serio, dicono le statistiche, per la sicurezza del traffico aereo. E non si sa come rimediare, e ne basta uno piccolo in mano a un burlone o a un pazzo per fare danni sociali ed economici come quelli provocati a Londra (venerdì pomeriggio hanno richiuso Gatwick per un nuovo allarme droni).

 

Voli a parte, il caos sopra il cielo inglese è un caso esemplare di quanto sia difficile gestire in sicurezza le nuove tecnologie. Faccenda seria. I mercati sono sempre più aperti (vorrete vietare a qualcuno di acquistare per qualche centinaio di euro il suo drone?), le tecnologie sempre più accessibili e miniaturizzate, con tendenza all’invisibilità, la prevenzione di eventuali danni alla collettività (e vade retro terrorismo) in certi casi impossibile. Non solo oggetti volanti: si sospetta che siano bastati centomila dollari per allestire sui social i troll che avrebbero causato il danno Trump; con un piccolo server si può inondare di fake news il pianeta. Ma la storia di Gatwick è esemplare di una paura recondita che la tecnologia ha però potenziato: la minaccia delle piccole cose. Quel che succede se uno va a un concerto con lo spray al peperoncino, lo sappiamo; l’altro giorno un ragazzino incazzato è entrato in una scuola con le molotov. E un virus che varca la frontiera? Si può controllare il piccolo, l’imprevisto? Ci sono tecnologie sempre più sofisticate in grado di farlo, Facebook le aveva già, avesse voluto controllare i suoi troll. Poi servirebbe il colpo d’occhio e il polso fermo per agire. Ma Wellington riposa nella cattedrale di St. Paul e i nuovi condottieri non sono ancora nei radar.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"