Il “cimitero dei vivi”. Le ipocrisie di troppo sul carcere
Si suicidano anche i detenuti, e non solo i secondini. Qualche numero utile per i colleghi di Libero
Poi ci si rasserena, si raschia il barile della pazienza e ci si dice va bene, lascia stare, magari torna utile anche questa. L’importante è che se ne parli. Perché ovviamente c’è anche un po’ di vero nella storia che il carcere è “il cimitero dei vivi” (dai tempi di Filippo Turati non è cambiato poi troppo) per tutti: per chi è rinchiuso ma anche per chi tutti giorni gira il catenaccio. Soprattutto dove le prigioni sono come in questo paese. Però “E’ meglio essere carcerato che non secondino”, è un titolo da prenderli a calci in culo, sulla prima pagina di un giornale che di carcere si occupa di soltanto come luogo terminale di cui si deve “buttare via la chiave”. Insomma, su Libero.
Poi raschiato il barile della pazienza, si può dire che anche sì: è vero che le condizioni in cui questo stato violatore del diritto fa lavorare i suoi uomini grida vendetta: dalle paghe da fame ai turni senza turno over (ah, le risorse) alle condizioni ambientali e psicologiche. E 110 guardie che si sono suicidate dal 2000 sono un fatto. Anche se, e perdonate la contabilità, i suicidi di detenuti sono stati 67 solo nel 2018. E allora un calcio in culo a “meglio essere carcerato”. E soprattutto una domanda: i politici per cui fate il tifo, come il vostro idolo Salvini, o quelli per cui il tifo non lo fate più, siete furbi, come il ministro Guardagalere Bonafede, cosa hanno mai fatto per rendere il carcere un po’ meno “cimitero dei vivi”?