Cesare Battisti, l'elogio di Franti e il giornalismo lombrosiano
L'ex leader dei Pac non è simpatico proprio a nessuno, ma bastava leggere Umberto Eco (1963) per sapere che si può dire di più, con più decenza, di un Cattivo
"Sul suo volto si dipinge quel ghigno infame che conosciamo bene. Troppo bene. Il sorriso storto di uno che continua a professarsi innocente, senza rispetto per le vittime”. Il Fatto, che di Cesare Lombroso ha fatto un canone estetico e un format giornalistico, ha dato ovviamente il meglio di sé. Il Corriere, più ingessato, vede “il ghigno sotto il pizzetto”. Il Giornale, col suo arditismo manesco, titola: “Ride, ma ora sa che è finita”, facendosi predittivo sul destino del “solito ghigno strafottente”. Il Messaggero, deferente al Palazzo, va direttamente alla fonte e virgoletta Salvini: “Ho visto un ghigno di Battisti, marcirà in galera”. Repubblica, ché sta all’opposizione, la gira sui “ghigni di stato che umiliano la giustizia” ma al magnetismo del ghigno non resiste nemmeno lei. Va da sé che Cesare Battisti non è simpatico proprio a nessuno. Anche meno di Carla Bruni, per dire, la chanteuse presidenziale che ne propiziò la fuga in Brasile, lo sapesse o no il marito che, quanto a risate a culo di gallina, era un asso anche lui. Ma bastava aver letto, per tempo, l’“Elogio di Franti” di Umberto Eco (1963) per sapere che si può dire di più, con più decenza, di un Cattivo. Di uno con la “faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti”. Uno che “dicono che non verrà più perché lo metteranno all’ergastolo”. Ma Franti, inchiodato per sempre alla sentenza deamicisiana, “E quell’infame sorrise”, a quel punto della storia era soltanto uno straccio ridotto al niente che, scriveva Eco con miglior fantasia, “cerca un contegno nel sorriso, per non soccombere nello strame”. Molto meglio del giornalismo lombrosiano.
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