
Il direttore dell'agenzia aerospaziale israeliana Opher Doron alla presentazione del nuovo razzo (Foto LaPresse)
Lo Spazio di Israele
Dietro il lancio della sonda spaziale israeliana Bereshit c'è la forza di un popolo che ha la memoria lunga e gli occhi che sognano lontano
Questa storia potrebbe raccontarvela molto meglio la nostra astroreporter @giuliapompili (a cui ovviamente la devo), con quella sua magnifica ossessione che lo spazio sia una metafora luminosa di chi siamo e di quel che cerchiamo, qui sul pianeta Terra. Ma accontentatevi del riassunto, perché è bella. È la storia del lander israeliano Bereshit, che vuol dire Genesi, che brivido di nome, che se n’è partito sul razzo SpaceX Falcon 9 verso la luna (esplorazione spaziale privata, wow). Ma non è soltanto il solito viaggio in cerca di foto e dati, quello intrapreso da questo marchingegno tecnologico, sono sempre un po’ buffi a vederli, che ha la bandiera con la stella di David sopra.
C’è una volontà di andare, portandosi dietro chi si è, che è dentro a tutto un popolo che ha la memoria lunga e gli occhi che sognano lontano. Dentro “Genesi” c’è infatti una “macchina del tempo” (ci crediate o no) digitale, con 50 milioni di pagine di dati, l’intera Bibbia, un memoriale dei sopravvissuti della Shoah, l’inno e la bandiera e la dichiarazione di indipendenza israeliana. Andrà nel Mare della tranquillità, non alla minacciosa scoperta della dark side of the moon come fanno i cinesi. E chissà se troverà una Terra Promessa di scorta, come cercano di fare in Alaska nel Sindacato dei poliziotti yiddish di Michael Chabon, perché non si sa mai. Ma adesso che a molti qui, sul nostro pianeta senza fantasia, sta montando la voglia insana di scacciarli ancora, l’orgoglio di cercare il Pianeta Promesso nello spazio è ancora più bello.

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