F. Merlo, il Polonio
Sul caso Imane Fadil non dà di assassino a Berlusconi, però dice che è “il simbolo di un’epoca senza verità, dove il contesto rende credibile anche l’incredibile”
Come il Polonio di Amleto, Francesco Merlo ha origliato dietro le tende del Mistero, ma ha frainteso. E mal gliene incoglie. Gli è toccato, ieri, di dover dare man forte al processo sommario indiziario e con verdetto già scritto che Rep. ha istruito: Imane Fadil è morta avvelenata da Berlusconi. Ma Merlo non è Travaglio, che fa macelleria (Matteotti, Pecorelli). Merlo è scrittore di classe, grande manipolatore delle parole, che a seconda di come si cesellano danno forma a verità diverse. Del resto il barocco è pirandelliano, finzione di scena. Quando viene bene è teatro dell’assurdo, se viene male è farsa del pretestuoso e falsificazione. Scrive Merlo, per schivare i nudi fatti (non sono “pistaroli” a Rep., quanta ipocrisia) che “nessuno ha avuto pietà per l’Olgettina d’Italia”. Che però è “morta avvelenata” (dice due volte) anche se non è. La magia delle parole sfuma, ma si trasforma in veleno. Non dà di assassino a Berlusconi, però dice che è “il simbolo di un’epoca senza verità, dove il contesto rende credibile anche l’incredibile”. E siccome nulla si può dire di ciò che è inconoscibile, come direbbe il suo conterraneo Gorgia, prende la desolata Imane e la trasforma nell’Olgettina, anzi in Maria Maddalena, “tra sacralità e prostituzione”. La Donna come il maschio italico la vuole, e di solito poi la vuole morta. La paragona alla May e alla premier neozelandese, e persino a Greta. Un funambolismo pretestuoso e fuori contesto che nemmeno una #senonoraquando, parole che non svelano nulla. Ma servono soltanto per dire quel che dall’inizio si doveva dire: l’ha avvelenata Lui. Polonio.
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