Cesare Cadeo, politico
Un saluto malinconico alla buona classe dirigente azzurra che il Cav. era riuscito (persino) a creare
Ora che abbiamo scoperto che persino Andreotti voleva ritirarsi dalla politica, anno Domini 1953, perché nella Dc, scrisse a De Gasperi, “non ci sono dieci uomini che contino che tra di loro si vogliano veramente bene”, possiamo soppesare meglio, come un’espressione sincera e non di circostanza, la frase regalata ai cronisti dal Cavaliere per la morte di Cesare Cadeo: “Ne ricordo commosso la professionalità, lo stile, il calore umano, la coerenza ideale”. Cadeo se n’è andato giovedì scorso, nella sua Milano, a 72 anni, e tutti quanti, proprio tutti, lo hanno salutato con le stesse parole: un uomo di garbo, un gentiluomo della tv, un collega affidabile, bravo nel suo mestiere. Il suo mestiere era stato fare la tv sorridente, popolare e confidenziale – customer oriented si direbbe oggi – degli inizi delle private. Che poi è l’essenza migliore del berlusconismo: in televisione ma anche in politica.
Saluti a parte, vale la pena ricordare Cesare Cadeo anche per qualcosa d’altro: la sua non lunga, ma dignitosa e ben vissuta, con garbo e passione, avventura politica – old style si direbbe oggi, nei tempi grami in cui le carriere politiche si tentano e si buttano via come i Gratta e vinci. Nel 1999 Ombretta Colli, per energia positiva naturaliter di Forza Italia quando entrò in politica, diventò presidente della provincia di Milano. Lo chiamò a fare l’assessore allo Sport. Lui accettò, con quella baldanza mista a spirito di servizio che è stata il marchio dei berlusconiani d’azienda divenuti berlusconiani di partito, quelli della prima ora: fedeli e per così dire illuminati dall’uomo col sole in tasca.
Prese di buzzo buono l’impegno, qualche risultato lo portò a casa (il mondo dello sport era stato il suo mondo). Soprattutto si dedicò a risanare l’Idroscalo, “il mare del milanesi” che era della provincia ma era diventato da tempo una giungla di erbacce e zanzare che avrebbe fatto tristezza anche al barbùn di Jannacci. Con Cadeo tornò a essere un luogo popolare per i milanesi, arrivarono le gare nautiche del Coni, gli spettacoli pop d’estate. Dopo il 2004, finita la politica, gli chiesero di rimanere a dirigere “il mare” e lui lo fece, voleva realizzarvi persino un museo all’aperto con i giovani dell’Accademia di Brera (c’è già chi propone di fare dell’Idroscalo una Fondazione dedicata a lui).
È questa cosa in più, la stagione politica di Cesare Cadeo, che un po’ merita l’applauso e un po’ fa malinconia. Come tanti altri della prima ora o quasi, venissero dallo spettacolo televisivo o dall’azienda – ma in fondo anche la lunga “militanza” azzurra di una Iva Zanicchi ha lo stesso imprinting – Cadeo “scendendo” in politica aveva portato con sé un po’ di quella storia: la storia del berlusconismo sorridente, fattivo e popolare, molto milanese in questo. Quel modo di intendere la politica che Berlusconi spiegava nel ’94 al mitico gruppo di dirigenti di Publitalia cooptati a costruire un partito: “In politica dovete parlare un linguaggio semplice, in un paese dove la maggioranza ha la seconda media”. Cadeo ha fatto politica così, “per dare una mano”, per far qualcosa che capissero anche i milanesi del popolo senza casa al mare che d’estate vanno all’Idroscalo. Ha fatto parte di una classe dirigente politica che in fondo, a guardare bene, Berlusconi era riuscito perfino a creare. Solo che, a guardare bene, e a pensarci, viene malinconia.
CONTRO MASTRO CILIEGIA