Barca Nostra e gli annegati nei nostri Interesting times
Arriva alla Biennale di Venezia il relitto squarciato del barcone che affondò nel 2015 tra Libia e Lampedusa con settecento migranti a bordo
Poiché, vivaddio, il Canale della Giudecca non è ancora stato chiuso dal sequestratore del Viminale – che ieri si è limitato a bloccare le motovedette della Guardia di Finanza partite in missione di soccorso, mentre in mare morivano almeno settanta persone, e a sequestrare la nave di una ong nel porto di Lampedusa – la chiatta “Angelo B.” ha potuto raggiungere sicura il suo approdo un po’ innaturale, a Venezia, davanti all’Arsenale. E’ la chiatta che ha trasportato “Barca Nostra”, che è il nuovo nome d’arte che l’artista svizzero Christoph Büchel, non l’ultimo arrivato nel gran bazar del Bello, ha voluto dare al relitto squarciato del barcone che affondò nel 2015, in acque internazionali tra la Libia e Lampedusa. Il governo italiano decise di tirarlo su dal fondo del mare, per diritto umano prima che per dovere umanitario, perché si sospettava che inscatolati là dentro ci fossero tanti, troppi corpi. Più del solito. Ne trovarono settecento. Il medico legale Cristina Cattaneo pensò subito di dover analizzare quei corpi, per dare a ognuno di loro la dignità di un nome. Matteo Renzi pensò di trasportare quel relitto a Milano, in piazza Duomo, come un sacrario, ma non si riuscì. Ora con l’impegno di Büchel, e l’appoggio del mondo dell’arte ricca e internazionale, quella “Barca” (anche se chiamarla “nostra” è un poco troppo, o facile: là sotto sono morti “loro”) è arrivata a interrogare la Biennale d’Arte. Che quest’anno si intitola “May You Live In Interesting Times”. E forse anche quegli annegati sognavano di vivere in “tempi interessanti”.
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