Gattuso e i subalterni
L'allenatore del Milan rinuncia a due anni di stipendio per far pagare subito i suoi collaboratori. E dimostra che non serve un diploma per avere una grande classe
Il caro Gaddino, come lo chiama il mio compagno di banco Andrea’s, è stato coperto di insulti e sfottò (il solito “radical chic”: il vocabolario dei subalterni da tastiera è ristretto) per aver usato un’espressione precisa, dotata di una sua storia culturale e politica, e oggi come oggi persino banale: “classi subalterne”. Locuzione gramsciana che non è certo un insulto. Persino il direttore in orbace Maurizio Belpietro lo ha manganellato, ribattendo a Lerner con l’ovvietà che Gramsci parlava “quando l’analfabetismo in Italia oscillava fra il 20 e il 30 per cento”. Col che, il direttore in orbace probabilmente sottintende che gli attuali subalterni da tastiera o sventolatori di rosari analfabeti non siano.
A mostrare la differenza tra una classe subalterna e avere una grande classe, e persino una limpida coscienza classe, ha fortunatamente provveduto ieri un uomo immenso come Rino Gattuso, che di sé ha spesso detto di non essere un intellò, anzi di essere ignorante. Ma non tanto da non sapere fare questo: se n’è andato dalla guida del Milan rinunciando a due anni dovuti di stipendio, per permettere ai suoi collaboratori (tecnicamente sarebbero, ironia dei vocaboli, dei subalterni) di ricevere immediatamente tutti i soldi che avrebbero dovuto ricevere nei prossimi due anni, una cifra in totale equivalente alla sua rinuncia. Ecco, si può non avere studiato, come Gattuso, ed essere il contrario di ignoranti. O si può essere classe subalterna anche con un diploma, un profilo Facebook e persino una scheda elettorale in mano. E chi lo nega è un somaro.
CONTRO MASTRO CILIEGIA