Non parliamo di Noa, parliamo di noi. Perché un fatto ci spaventa così
Una ragazza olandese di diciassette anni è "andata" ed è stata lasciata andare. Un fatto che cambia la nostra idea di amore e di prendersi cura
Non voglio parlare del dibattito sull’eutanasia, nemmeno delle notizie false o non verificate. Di fronte al fatto in sé, sono bagatelle per un’altra volta. Non voglio parlare nemmeno di Noa, ma di noi. (Spoiler: siete liberi di passare al prossimo articolo). Voglio parlare di noi – della community in cui siamo tutti giornalisti, politici, o quantomeno abbiamo tutti un account su cui dire la nostra; ma credo che la prima plurale riguardi in questo caso chiunque – e di come ci siamo messi di fronte a un accadimento. Una ragazza olandese di diciassette anni, che sono stati un monte di dolore, si lascia morire nella (libera) coscienza che non ci sia altra uscita. Il punto non è se aiutata, e neppure medicalmente aiutata, per legge o contro legge. Il punto è, semplicemente, questo: è andata, ed è stata lasciata andare. Anche dai genitori, da chi le era in qualche forma vicino. E’ grossa. Una cosa grossa. I nostri vecchi dicevano in dialetto ‘l’è spèssa”, ha uno spessore poco maneggiabile. Era la parola per le sciagure, il più delle volte l’unica che sapevano dire. L’è spèssa è per ciò che non ha misura né rimedio.
Delle implicazioni di questa vicenda si può dibattere come si vuole, ma un’altra volta. La cosa che penso io, ma è venuta su a poco a poco, di fronte ai commenti e a come la prendevano i giornali, è soltanto che è grossa e non ci si può nascondere dietro a un dito, sperando che indichi la faccia più rassicurante della luna. Lasciarsi morire per un’impossibilità a vivere in cui nessuno ha saputo, potuto, voluto penetrare, unito al lasciare andare attonito o devastato, certo non giudicabile da nessuno, non è un “caso limite”. Uno di quelli su cui solitamente si puntellano opposte strategie morali o politiche. No, è un punto di non ritorno, un’ultima desolata Thule del perché, e come, si vive. Riguarda noi, personalmente e collettivamente. E il motivo (o la giustificazione: a volte serve trovare delle giustificazioni) per cui siamo al mondo, e nel mondo. Che ci stiamo con un’attitudine rapace o felice, corsara o gentile, non importa. Ma ci siamo.
Invece mi ha colpito questo: un atteggiamento difensivo, il dito che si sforza di parare il colpo della luna. Bipartisan, se volete. Da un lato coloro che, anche sbagliando all’inizio, ma anche poi emendandosi, tendono a riportare questo macigno che ci si para davanti agli occhi alla prospettiva del dibattito eutanasico. E’ anche il punto di angolazione di questo giornale, non privo di elementi. Dall’altra parte – e non è che mi sembri più grave, non è la questione: ma mi sembra molto più rivelatore – i tanti che hanno insistito sul punto “non è stata eutanasia” e sul punto della fake news. Faccende interessanti pure queste, ma hanno parlato soltanto di quello. Evidentemente (o almeno è parso rivelatore a me) perché queste persone hanno anche loro capito che quella cosa è troppo grossa. Il primo è stato Marco Cappato: credo abbia intuito che legare le sue battaglie a una cosa spèssa come questa, non era il caso. Così molti hanno provato a riportare, a loro volta, la faccenda su un terreno più conosciuto, consono: l’offensiva oscurantista delle fake news, o la libertà di scelta.
Ma è possibile, è decente? La morte di Noa è un fatto che segna il punto di non ritorno di una doxa sociale in cui l’autonomia inviolabile della persona, il suo safe space psicologico e clinico e giuridico è tale che la stessa parola amore da lei usata – la parola di relazione che ha costruito la nostra antropologia almeno da duemila anni – non è più valida. Si “lascia andare”. E con la parola svapora non tanto la nozione di vita indisponibile, altra bagatella per un altro dibattito, ma qualsiasi prendersi cura capace, o che abbia la pretesa, di entrare in contatto con l’altro. Si dovrebbe avere il coraggio di dire che è accaduta una cosa grossa, che non riguarda una ragazza piena di dolore, o gli olandesi, o i preti o Cappato. Riguarda come e perché viviamo, o persino scriviamo. Troppo grossa per parlar d’altro.