Da buttarsi nel Fiume
Il comune di Trieste inaugura la statua di D'Annunzio a cento anni esatti dalla spedizione di Fiume. Ma è di una bruttezza rara
L’unica cosa che possiamo affermare con sicurezza è che è molto più brutta della statua di Montanelli ai Giardini di Milano. Non era facile. Una cosa di un tristezza, di un color cacchetta, la statua di Gabriele D’Annunzio seduto su un un muretto messa lì ieri a Trieste, il 12 settembre, a bella posta nell’anno centenario della spedizione di Fiume. L’immagine di un impiegato di banca in pausa pranzo, di un borghesuccio che di certo avrebbe profondamente offeso quell’egocentrico estetizzante, convinto com’era di essere una bellezza italica. Del resto ben gli sta, se il problema fosse la statua. E poi scriveva pure male. Per il resto, vorremmo avere le certezze di Giordano Bruno Guerri (si scherza, eh) che ieri sul Giornale illustrava impavido la tesi che l’impresa di Fiume, altro che proto-fascista, fu un magnifico progetto di democrazia. Ma si fatica un po’. Così per limitarci a Trieste e alla sua statua, abbiamo la (quasi) certezza che il sindaco Dipiazza e la sua giunta di centrodestra avrebbero fatto miglior figura a soprassedere, o a cambiare data. Ieri il governo croato ha recapitato all’ambasciatore d’Italia a Zagabria, una nota di disappunto per l’inaugurazione “proprio nella giornata che marca il centenario dell’occupazione”. E il sindaco di Fiume, a rincaro, ha chiamato D’Annunzio “un precursore dell’ideologia fascista” e l’iniziativa “una glorificazione dell’occupazione violenta di una città”. Come gli sia venuto in testa, non si sa. A meno che, dimenticavamo: deve essere stata pensata ai tempi dell’ardito governo sovranista. Ma adesso alla Farnesina vigila Giggino. Per fortuna.