Morire per sete
Dei commenti trucidi di Salvini non mette nemmeno conto parlare. Ma che ci siano teologi e vescovi scandalizzati che la chiesa parli di questo, mentre al largo di Lampedusa cercano corpi che non troveranno, di questo bisognerebbe discutere
Delle tredici donne annegate di notte nel mare di Lampedusa, una incinta, una di dodici anni, degli otto bambini dispersi più tutti gli altri fino a un numero di cinquanta, molti, o la maggior parte, come sempre venivano dall’Africa subsahariana. Da luoghi dove si muore, e si fugge, per fame e per sete. E se vogliate chiamarli profughi, o clandestini, o migranti economici, oppure migranti climatici non fa differenza. Sono eufemismi della politica, finzioni della burocrazia europea. Resta il fatto che da là, e da molte parti del mondo, si scappa anche per colpa del clima. Della sete e della fame. A Roma è in corso un Sinodo della chiesa sull’Amazzonia, dove si parla anche di riforme ecclesiali e di viri probati, a chi interessa il tema. Ma si parla soprattutto di questione climatica, di risorse sprecate, di falde acquifere, di migrazioni su scala planetaria dovute a condizioni di non sopravvivenza. E forse si parlerà persino di ghiacciai che si sciolgono e foreste che bruciano. Perché è “sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa” e la vita delle creature importa, eccome. Dei commenti trucidi di Salvini su chi annega per sete non mette nemmeno conto parlare. Ma che ci siano non dico cristiani qualunque, ma persino teologi e vescovi scandalizzati che la chiesa parli di questo, mentre al largo di Lampedusa cercano corpi che non troveranno, di questo meriterebbe parlare. Di questa fissazione che fa guardare la dottrina per non vedere il Creato e le sue creature. Un giorno renderemo conto.