L'apostrofo? Sti'cazzi
Si conclude la battaglia di John Richards per l'uso corretto dell'apostrofo. Vincono l’ignoranza e la pigrizia
Stretto come una sardina tra due sardine, ma senza più manco la dignità del tu si que vales, nella nostra quotidiana lotta per un po’ di forma e contro la barbarie, perché la barbarie comincia sempre dalle parole, dobbiamo oggi piangere un nuovo caduto: sua (nullità) l’apostrofo. O per meglio dire The Apostrophe, di madrelingua inglese. John Richards è un ex giornalista, oggi ha 96 anni, in Italia sarebbe quantomeno editorialista di Rep. Ma lui ha deciso di gettare la spugna e chiudere l’opera cui aveva dedicato i suoi ultimi diciotto anni, l’Apostrophe Protection Society, e di dichiarare partita persa. Constatando l’aumento esponenziale di sgrammaticature, nel non uso e persino nell’abuso del simpatico svolazzo grafico, aveva deciso di dare battaglia per il corretto uso dell’apostrofo. Ora deve ammettere che a sempre meno gente la faccenda interessa, e allora basta: “Noi e i nostri numerosi sostenitori in tutto il mondo abbiamo fatto del nostro meglio, ma l’ignoranza e la pigrizia presenti nei tempi moderni hanno vinto”. Ignoranza e pigrizia: sei uno di noi, John. Contro quelli che scrivono its al posto di it’s, e Banana’s for sale quando dovrebbero scrivere Bananas for sale, o che ormai scrivono come se nulla fosse you’re eyes quando vogliono riferirsi ai tuoi occhi. Sembra la fissazione di un passatista, uno che per età potrebbe essere un boomer che ha vissuto due volte (ok, boomer, ok), forse è soltanto il lento e inesorabile cambiamento della lingua. Invece la sua era una piccola, deliziosa, totally unnecessary battaglia di civiltà. Ora l’apostrofo sarà un amico perduto tra le parole sti’cazzi.