La panchina restituita e il non diritto di essere cretini
Davvero chi ha compiuto il gesto a Firenze non sapeva cosa stava sottraendo? Cioè negli ultimi anni non ha mai non dico letto un giornale, né acceso una tivù, ma nemmeno sbirciato un social?
A costo di passare per un retrogrado, o semplicemente per un rompiballe “ok boomer”, a differenza dell’assessora al Decoro del Comune di Firenze, Alessia Bettini, e dei giornali che hanno festeggiato come fosse accaduto un miracolo non riesco a “gioire” per la ricomparsa della panchina rossa, simbolo della lotta alla violenza sulle donne, che era stata rubata in un parco cittadino. Alt, mi spiego. Felicissimo per la panchina ritrovata, ma mi fa incazzare il doppio il cartello con cui è stata riconsegnata nottetempo, scritto a mano su un foglio di quaderno: “Scusate per l’accaduto, non eravamo a conoscenza del significato così importante. Sappiamo che averla riportata indietro non basterà a scusare il gesto indignitoso che abbiamo fatto”. Seguono iniziali di una (doppia) firma. “Un biglietto che sa di giovinezza”, ha scritto Rep. Ma che sa anche di una dose di scemenza inemendabile. Davvero non sapevano cosa vuol dire panchina rossa? Cioè negli ultimi anni non hanno mai non dico letto un giornale, né acceso una tivù, ma nemmeno sbirciato un social? Hanno vissuto nelle caverne? Vanno a scuola? Hanno dei genitori? Essere giovani non è che necessariamente autorizzi ad essere cretini. È un bel problema, perché poi tra qualche anno questi pretendono di votare. E cambiare idea dopo aver toppato di brutto non è un merito. Altrimenti dovremmo ringraziare (“gioire”) per quelli che andavano in piazza con Grillo e si sono pentiti o quelli che erano contro i vaccini e adesso adorano Burioni come Buddha. Se ci pensavano prima ora forse non c’era il coronavirus.