contro mastro ciliegia
Erdogan dittatore
L'indignazione retorica sulla sedia negata a Ursula von der Leyen (pure "la sedia dei valori", vabbè) non serve a niente. Meno male che Draghi ha usato, senza tentennamenti, le parole giuste, cioè politiche, per definire il leader della Turchia: "Chiamiamoli dittatori"
Il sediagate, il sofagate, “la sedia dei valori” (oddio, ma come gli vengono a @EnricoLetta?). E pure la sedia vuota in mezzo a Montecitorio (ne mise una Clint Eastwood a perculare Obama e fu una gran cosa, questa no). E’ molto facile ribaltare il pasticcio di politica e cerimoniale della visita europea ad Ankara in retorica indignata e in comunicazione da social. Ma serve a poco, anzi quasi a niente tranne che a gonfiare il vento e a sentirsi migliori, quelli dalla parte giusta del Bosforo. E’ un insulto alla democrazia, no alle donne, no all’Unione europea. Facendo finta che Ursula e Michel "ma belle" non fossero lì per pagare la mesata all’alleato impalatabile ma obbligato. Ma finito lo show, resterebbe la necessità delle parole vere. Ed è una benedizione europea che ieri ci abbia pensato Mario Draghi, con il suo dono della sintesi che è anche linguaggio dell’evidenza, cioè della politica. Rispondendo alle domande sui fatti di Ankara ha chiamato Erdogan, senza tentennare, un “dittatore”. Si arrabbierà, è sicuro. Ma “con questi chiamiamoli dittatori bisogna essere franchi nell’espressione della visione della società ma pronti a cooperare per gli interessi del paese”. Senza retorica, lo ha chiamato per nome.