(foto Ansa)

contro mastro ciliegia

Giudici a scrocco

La grottesca vicenda del magistrato Gamacchio e delle sue cene non pagate ha un risvolto "antropologico". Decenni di cultura giustizialista e di circo mediatico inginocchiato hanno prodotto il mito fasullo del giudice "homo sapiens" diverso da tutti gli altri

La grottesca vicenda del giudice di Corte d’appello di Milano Piero Gamacchio, quello che si è messo in aspettativa (poi andrà lestamente in pensione, un’uscita onorevole non infrequente nel settore) dopo essere stato sputtanato nel più brutale dei modi del gossip perché faceva crapula nei ristoranti della città e poi lasciava conti non pagati come nelle operette dell’Ottocento, è grottesca e basta. Meriterebbe compassionevole silenzio, ma anche no. E non perché il giudice Gamacchio sia peggiore di altre persone, di altri colleghi. Ma per una questione più sottile, e che ieri sul Corriere Luigi Ferrarella si è fatta come sfuggire in un lapsus: una questione antropologica. Sarà un “rompicapo” giudicare Gamacchio, ha scritto, “per gli antropologi di quella particolare specie di homo sapiens che è il giudice”. Ecco, sarebbe più facile comprendere e stendere un pietoso velo se decenni di moralismo giustizialista e di genuflesso circo mediatico non avessero per l’appunto fatto del “giudice” un uomo diverso dagli altri, un essere superiore e infallibile nella condanna. Che può trattare con disprezzo, o con ferocia, gli altri. Giudicandoli, quante volte è successo, non in punta di legge ma in presunzione di una diversa moralità. Che invece non esiste, vale meno di una cena a scrocco.