contro mastro ciliegia
Il non-emendamento Urbinati
La politologa dei due mondi prova a tagliare i soldi alle scuole cattoliche in nome della Festa dell’Essere Non Omofobico Supremo. Ma toppa di brutto: la nota non ne parla. Si parla di libertà, invece. Quella libertà che nell'America che pure l'ha adottata e tutelata dal Primo Emendamento. Ma lei non lo sa
Sarà forse la tara di aver fatto l’istituto magistrale a Rimini (statale, of course), ma nemmeno aver vissuto, insegnato ed essere naturalizzata statunitense è riuscito a infilare nella zucca di Nadia Urbinati il concetto generale che una società, una democrazia, è libera a partire dalla testa, cioè dal suo cuore: la libertà di pensiero e di espressione. Quella che l’America proclama nel Primo emendamento: “Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o della stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti”.
Per Urbinati, come per tanti altri inemendabili giacobini, la libera professione della religione non esiste e la libertà di riunirsi pacificamente (magari pure a scuola) è subordinata alla Volontà generale. Scrive la politologa dei due mondi che “se una scuola confessionale sceglie di accedere ai finanziamenti pubblici, la sua ‘libertà’ cessa di essere ‘piena’”. Affermazione tanto minacciosa quanto priva di sostanza, che ad esempio la Corte suprema americana ha appena rigettato in una materia differente ma non estranea. Affermazione tipica di un laicismo grossolano e attardato (Augias scriveva le stesse baggianate un anno fa su Rep., quando lo facevano ancora pontificare, come del resto Urbinati, da tempo sbolognata alla squadra B di CdB). Affermazione che sarebbe risibile, se non fosse apertamente violenta. E disinformata parecchio, va da sé. Dice Urbinati che “il tema del contendere” non riguarderebbe la libertà ma semplicemente la faccenda che le scuole cattoliche non vogliono celebrare la giornata antiomofobia.
Ma nella nota verbale della Cei, in verità, non c’è scritto affatto che il problema sia la facoltà di non celebrare la giornata antiomofobia: non è nemmeno citata. E’ una panzana che s’inventa Urbinati, che probabilmente ha letto solo il Corriere, che l’ha propalata per primo e a beneficio dei tutti non informati. Potrebbe sorgere il dubbio, in una mente razionale, che anche la scuola statale è pagata da tutti e frequentata da tutti, persino da chi non vorrebbe celebrare la festa dell’Essere Non Omofobico Supremo: non dovrebbe essere un obbligo nemmeno lì, visto che pagano anche loro. A parte che nessun frequentatore laico della scuola statale è obbligato a celebrare la Pasqua, e nemmeno Pesach. Ma il pensiero nemmeno la sfiora. Che le scuole paritarie debbano rinunciare a un finanziamento se vogliono non aderire alla festa è ridicolo. Urbinati dovrebbe sapere che in America sarebbe semplicemente impensabile. Dirà Urbinati che le scuole religiose là non prendono finanziamenti: certo, ma non si paga nemmeno per mantenere scuole statali che intendano violare il Primo emendamento.
C’è invece un punto più grave, nella nota, che la perspicace accademica evita di leggere e capire. Il Vaticano fa riferimento all’articolo 2 del Concordato rivisto, “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la su missione pastorale, educativa e caritativa”. In semplici parole: la Repubblica riconosce il diritto anche di educare in piena libertà. E i soldi non c’entrano proprio nulla. Il riconoscimento della libertà è superiore a ogni disputa sul finanziamento. Questo sta scritto, ma evidentemente non per gli obnubilati dall’idea che esista solo un pensiero, quello di stato, obbligatorio nelle scuole di stato. Invece persino la libertà di insegnamento è garantita dalla Costituzione. Tutto questo, Urbinati scrive sul giornale che ieri lanciava una campagna di linciaggio di economisti liberali da parte di accademici non liberali. Tutto si tiene, e fa un po’ pena.