contro mastro ciliegia
Carcere, violenza e ministro
Non basta scandalizzarsi per la violenza degli agenti penitenziari a Santa Maria Capua Vetere. Bisogna anche ricordare il clima politico e la gestione di Via Arenula dell'epoca Bonafede: quando la sottovalutazione del Covid nelle prigioni esasperò al massimo una situazione già drammatica
Non siamo di quelli che “le divise fanno paura”, scemenza destituita di ogni rapporto con la realtà. Dunque il punto non è pretendere processi sommari e simbolici assalti alla Bastiglia: gli agenti di polizia penitenziaria esistono perché servono, non dovrebbero fare paura. Ci sarà modo, anche per noi, di affrontare il tema. Ma è innegabile che 110 indagati, 52 misure cautelari e il provveditore delle carceri della Campania sospeso per le violenze perpetrate sui detenuti di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile 2020, come “risposta” a una protesta dei carcerati dovuta all’allarme per il Covid, sono qualcosa d’altro da una degenerazione momentanea, una perdita di controllo, uno scoppio di violenza dovuto alla esasperazione. Verranno individuati e puniti i responsabili.
Ma bisogna per prima cosa ricordare il clima politico in cui è avvenuta quella violenza, quando al ministero di Giustizia c’era un ministro che considerava il carcere chiuso a doppia mandata come l’unica prospettiva della pena e che ha sottovalutato volutamente gli allarmi sanitari. Quando una parte della politica e dell’opinione pubblica gridava contro le “vacanze Covid”.
Gli agenti che hanno sbagliato sono una cosa, la politica che li ha messi nelle condizioni di compiere violenze è un problema peggiore.
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