Cerchi magici
Ragazze olimpiche
Saranno i Giochi del loro scontento? Troppo presto per dirlo, e speriamo di no. Ma i dolori di Simone Biles e di Naomi Osaka raccontano una normalità, e dunque una fragilità, da non dimenticare. Fortuna che c'è anche Maria Centracchio e il suo Molise che "esiste e mena forte"
"Sad but not surprised. Angry but not surprised”. No, non è il tweet di ieri, quando è tornata al confine della pedana ma invece di prenderne possesso come sempre, come quattro anni fa per quattro volte a Rio, come le cinque volte all-around nel mondo, si è seduta a guardare. Triste ma non sorpresa, Simone Biles l’aveva scritto qualche tempo fa, dimostrando anche un bel ritmo con le parole e non solo con il corpo e gli attrezzi. A Tokyo, era la campionessa più attesa, la ragazza magnifica e coraggiosa. Quella che si era ribellata contro un sistema che non aveva abbastanza punti per classificare la sua bravura e premiare gli esercizi che solo lei, lei sola al mondo, sa fare. La predestinata a un altro all-around. Stella di un’Olimpiade che sembrava predestinata, finalmente, a essere dominata dalle donne. Quelle che vincono, quelle che si ribellano contro le divise di gara. E quelle che sfidano i dittatori.
Ieri invece a Simone Bales si è rotto qualcosa dentro (se la versione diplomatica dell’infortunio verrà archiviata definitivamente). Qualche ora dopo ha detto: “Non ero infortunata, ma ferita nell’orgoglio. Dovrò concentrarmi sulla mia salute mentale. Dobbiamo proteggere le nostre menti e i nostri corpi, non solo andare fuori e fare quello che il mondo vuole da noi”. Quello che il mondo vuole, e quello che si è. Fragilità compresa. Perché a ventiquattro anni le sembra a volte “di portare il peso del mondo sulle mie spalle”. E non si è obbligate a farcela, anche se questo farà crollare qualche certezza troppo teorica in chi va in cerca di bandiere e non di persone, dando per scontato che il passo dalla pedana, dalla piscina, dalla pista a sfidare il mondo sia facile. “Embarrassed but not surprised. Disgusted but not surprised”. Simone lo aveva scritto dopo l’assalto Capitol Hill, perché “ogni atleta ha il diritto di condividere le sue opinioni sulla politica”. Lo sport e la lotta, il successo e l’impegno. Lei che quando aveva cambiato lo sponsor tecnico, anziché limitarsi a farne una legittima questione di quattrini, come il suo coetaneo Donnarumma, l’aveva buttata sulla “opportunità di incoraggiare le ragazze a raggiungere il loro pieno potenziale ed essere una forza per il cambiamento è incredibilmente potente”. Un punto di riferimento per la nuova éra. Che ieri ha inciampato sulla trave, ha perso l’equilibrio. “Salute mentale”. Perché tutto quel peso. pesa.
Che sia l’Olimipiade dello scontento, per le super ragazze, è troppo presto troppo ingiusto da dire. Ma ieri anche Naomi Osaka, stella del tennis giapponese che aveva acceso il braciere olimpico, lei promessa nazionale dei giochi e simbolo di una diversa, ma sempre dura, emancipazione personale e femminile in quel suo strano paese così chiuso, è stata eliminata troppo presto, quasi subito. Sul campo, ma come dimenticarsi che anche lei qualche mese fa, si è seduta al bordo del Roland Garros, sull’orlo di una crisi nervi: “Soffro di depressione dagli US Open del 2018”, aveva detto. “Mental healt”, pure lei. Brutta parola inglese che in italiano suona anche peggio, “salute mentale”, ma non vuol dire la stessa cosa. Ma a Tokyo il fardello delle ragazze brucia come il fuoco dello stadio olimpico, non smette mai.
Fortuna che ci sono anche donne meno star, ma capaci di tenere botta. Ieri è stata la volta di Maria Centracchio, che ha vinto il bronzo nel judo ed è diventata la prima atleta molisana a vincere una medaglia ai Giochi. Era 27esima nel tabellone, ma alla fine non era né sad né depressa: “Il Molise esiste e mena forte”. Salute mentale. Forza ragazze.
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