contro mastro ciliegia
Mettere la mano nella gabbia del leone no vax. Curiosa deriva del giornalismo
Diversamente dall'informazione e dalla critica, la stampa di paratesto vive di luce riflessa dello spettacolo che aiuta a celebrare
Vittime o giornalisti? Oggi succede di trasformarsi da cercatori di notizie in notizia. Ma il sacrificio del reporter è un’altra cosa
Sempre grati saremo al professor Aldo Grasso che ci insegnò cosa fosse un paratesto (ha sempre un po’ l’aria del paraculo), cioè quel tipo di stampa che non serve da informazione né da critica, ma a far da contorno allo show e ne vive di luce e vendite riflesse. La differenza tra i Cahiers du cinéma e Sorrisi&Canzoni. Oggi più che la tivù vanno forte il web e i social, ma la funzione di paratesto si è soltanto evoluta. Così come si sono evoluti la politica-spettacolo e il giornalismo, che appunto le fa da lucroso paratesto. Per fare un esempio. Gli urlatori no vax, rissosi e persino maneschi, sono una schifezza. Ma lo sappiamo da due anni, e da mesi bravi cronisti ne hanno documentate le gesta: esercizio utile per capire.
La deriva del giornalismo con i no vax nelle piazze
Ma ora il bisogno di andare a infilare la mano nella gabbia del leone, nella speranza che morda, a che serve? Che tipo di giornalismo è, precisamente? Scopo del giornalista è raccontare, non farsi tirare uno schiaffo o uno sputo affinché si compia la sublimazione: da ricercatore della notizia a notizia in prima persona. Soprattutto quando a praticare questa cronaca d’avventura siano professionisti che hanno ritorno, delle loro gesta, nell’informazione online: la cuggina dei social. È un acconciarsi a far da paratesto, il sacrificio del reporter è un’altra cosa.